Maria ci insegna a comunicare



Se comunicare significa mettere in comunione, condividere, allora Maria ha molto da insegnarci! Anzitutto perché è in comunione con Dio e poi perché è madre.


Quindi Maria è una donna di comunicazione, cioè ha saputo mettere insieme Dio e uomo… in tutti i sensi: ha permesso che ci fosse comunione tra le due nature. Ciò è stato possibile perché lei è sempre stata in ascolto del Signore e ha fatto sì che ciò che la Parola le donava, non fosse solo per la propria gioia, ma condiviso con l’umanità intera!

Avere Dio come Padre senza avere Maria come madre risulta quindi impossibile per un cristiano, porterebbe a un pericolo che il Papa definisce “orfanezza spirituale”, che l’anima vive quando si spegne in noi il senso di appartenenza a una famiglia, a un popolo, al nostro Dio. Tale pericolo insorge quando non riconosciamo Dio, la Chiesa e/o Maria.

Questo atteggiamento è un cancro che silenziosamente logora e degrada l’anima, ha detto Francesco nell’omelia dell’1 Gennaio 2017, e così ci degradiamo a poco a poco, dal momento che nessuno ci appartiene e noi non apparteniamo a nessuno. In altri termini non stiamo facendo comunione, non ci stiamo aprendo a nessuno, anzi ci chiudiamo in un narcisismo logorante. Tale cesura dal resto del mondo, terreno e divino, lungi da una comunicazione autentica. 

La nostra cultura odierna si sta affermando sempre più frammentata e divisa, denuncia il Sommo Pontefice ribadendo che: la perdita dei legami che ci uniscono fa sì che cresca questo senso di orfanezza e perciò di grande vuoto e solitudine. Ecco che l’uomo si va sempre più isolando, magari credendo di aprirsi in modo più ampio al mondo attraverso il virtuale, dimenticando di concretizzare i rapporti dal vivo.
Da qui l’avvertimento del Papa: i rapporti solo virtuali fanno perdere la capacità di tenerezza e compassione (che sono proprie di una madre e di un cristiano). 

Comunicare significa anche incontrare, e allo stesso tempo “generare”, di conseguenza ricordare e far ricordare. Questa “orfanezza” ci fa perdere la memoria di cosa significhi essere figli, nipoti, genitori, nonni, amici, credenti. Si perde la memoria del valore del riso, del riposo e della gratuità. 
Ecco che l’incontro con qualcuno una volta generava un sorriso che rimaneva impresso nella nostra mente e nel nostro cuore, oggi tende a diventare un sorriso passeggero tra i tanti; l’esperienza dell’incontro gratuito con qualcuno oggi diventa un appuntamento finalizzato a realizzare solo un interesse (di ogni genere e natura), perché non c’è mai tempo per donare gratuitamente un po’ di sé; stare con Dio raggiungendolo davanti a un tabernacolo di una chiesa è visto come un obsoleto modo di fare, che può essere comodamente sostituito da una app che permette una preghiera individuale liberamente dal proprio divano, allontanando il senso di comunità.

Ma che razza di comunicazione è quella comoda e individualista del divano? Il Papa a Cracovia ha detto ai giovani che la “felicità-divano” a poco a poco, senza rendercene conto, ci addormenta, e ci troviamo imbambolati e intontiti. Siamo venuti al mondo, ha esortato Francesco, per un’altra cosa, per lasciare un’impronta!

Lasciare un’impronta significa comunicare alle generazioni future che io sono esistito, io sono passato da qui e ho contribuito a rendere il mondo più bello. Proprio come ha fatto Maria, che affidandosi a Dio ha lasciato al mondo l’impronta più bella, anzi un’impronta divina:Gesù! E chi segue lui certamente contribuirà a migliorare il mondo e realizzerà pienamente l’essere umano.

Celebrare Maria ci ricorda che non siamo orfani, ci ricorda le nostre origini divine, ci ricorda che siamo famiglia!



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Questa riflessione è liberamente ispirata all’omelia del 1 Gennaio 2017 di Papa Francesco e al suo discorso ai giovani nella Veglia della GMG 2016 in Polonia.