Lc 1,57-66
In quei giorni, per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei.
Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome».
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La pagina del Vangelo di oggi ci presenta il diverso atteggiamento di Zaccaria ed Elisabetta dinanzi alla volontà di Dio. C’è una differenza tra mutismo e silenzio, così come tra la capacità di tacere e l’essere muti.
Zaccaria rimane muto perché dubita e non crede immediatamente a ciò che l’arcangelo Gabriele gli rivela, Elisabetta invece accoglie nel silenzio l’annuncio e lo custodisce nel cuore e nel grembo con fede.
Come credenti siamo chiamati ad essere uomini e donne del silenzio non a essere muti. Dobbiamo imparare a combattere il mutismo dilagante, spesso omertoso, anche all’interno delle nostre realtà. E lo dobbiamo fare attraverso la nostra testimonianza silenziosa ma eloquente. Il silenzio diventa, quindi, il grembo in cui nasce la parola edificante, l’annuncio vero, la testimonianza feconda.
Il silenzio è ciò che ci rende testimoni appassionati piuttosto che annunciatori appassiti. Testimoni del fragore del silenzio, testimoni di un silenzio che fa rumore, di un silenzio che è presenza, di un silenzio che interpella e plasma la nostra vita e la vita della Chiesa.
- come valuti i tuoi silenzi?